La giusta attenzione al fenomeno del caporalato e dello sfruttamento della manodopera irregolare ha portato negli ultimi mesi Inps e Ispettorato nazionale del lavoro ad aumentare i controlli in agricoltura in molte aree ad alto impiego di lavoro.
In particolare nel mirino degli enti ispettivi è il peculiare fenomeno delle aziende agricole “senza terra”, cooperative (e non solo) che dietro la fornitura di manodopera ad aziende committenti per lo svolgimento di lavoro agricolo celano, talvolta, situazioni di sfruttamento.
Se salta la copertura contributiva e previdenziale
Numerosi sono i casi in cui, a seguito di una serie di controlli integrati, sia di tipo amministrativo che di tipo ispettivo, è stato disconosciuto a diverse aziende l’inquadramento nel settore agricolo. Di conseguenza a numerosi lavoratori è stata non più riconosciuta la copertura contributiva e previdenziale agricola generando molta preoccupazione nei diretti interessati per le conseguenze che tali decisioni comportano.
I due fattori di prova
Pertanto sia l’Inps con la circolare n.56 del 23 aprile 2020 che l’Ispettorato nazionale del lavoro (I.N.L.) con la nota n.23 dell’8 maggio 2020 hanno fornito chiarimenti in merito all’inquadramento previdenziale di una impresa come agricola. In pratica I.N.L. facendo riferimento a quanto affermato dall’Inps ha ribadito che per disconoscere un diverso inquadramento ad una impresa agricola è necessario raccogliere prove circostanziate. Tali prove devono basarsi su due fattori:
- il primo deve riguardare il mancato esercizio dell’attività agricola;
- il secondo deve riguardare la differente natura dell’attività svolta dall’azienda.
Le attività comunque agricole
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, ribadendo quanto riportato nella circolare Inps n.56/2020, evidenzia che è necessario far riferimento alle attività previste dall’articolo 6 della L.92 del 31 marzo 1979, che ha stabilito che da un punto di vista previdenziale, vanno assicurati come lavoratori agricoli gli operai a tempo determinato ed indeterminato assunti dai seguenti datori di lavoro ritenuti non agricoli:
- amministrazioni pubbliche quando devono svolgere lavori di forestazione oltre ad imprese singole od associate appaltatrici o concessionarie degli stessi lavori;
- consorzi di irrigazione e di miglioramento fondiario, oltre a consorzi di bonifica, sistemazione montana e rimboschimento per attività finalizzate alla manutenzione degli impianti irrigui, di scolo e di somministrazione di acque per uso irriguo o per lavori di forestazione;
- imprese singole od associate che svolgono lavoro di cura e protezione della fauna selvatica, oltre che all’esercizio controllato della caccia;
- imprese non agricole, costituite in forma singola od associata, che hanno lavoratori addetti la cui mansione è quella non solo della raccolta del prodotto agricolo, ma anche della cernita, pulitura ed imballaggio degli stessi purchè tale attività risulti strettamente collegata a quella della raccolta;
- imprese che svolgono lavori e servizi di manutenzione agraria e forestale, di imboschimento, creazione, sistemazione e manutenzione di aree a verde, se addetti a tali attività.
In pratica la ratio della norma è quella di considerare, ai fini dell’inquadramento previdenziale, il criterio oggettivo dell’attività svolta dai lavoratori, capovolgendo il criterio generale che prevede che l’inquadramento del lavoratore deve seguire l’attività economica svolta dall’impresa da cui è assunto.
Cosa succede se un lavoratore non è più ritenuto agricolo
Il disconoscimento dell’inquadramento previdenziale di una azienda come agricola causerà enormi ripercussioni sul lavoratore sia per quanto attiene la disoccupazione agricola sia per quanto attiene l’aspetto pensionistico.
Per quanto attiene l’indennità di disoccupazione l’istituto previdenziale ha stabilito che, per non danneggiare eccessivamente il lavoratore, si dovrà verificare che lo stesso lavoratore abbia diritto a ricevere la NASpI, come indennità di disoccupazione non agricola. Nel caso in cui l’esito del controllo dovesse essere positivo, l’Inps compenserà il dovuto con quanto, eventualmente, già incassato dal lavoratore come disoccupazione agricola. Perché possa avvenire la trasformazione della indennità di disoccupazione agricola in NASpI spetta al lavoratore presentare all’Inps una apposita domanda, e la domanda di disoccupazione agricola dovrà risultare essere stata presentata nei termini legali previsti per la presentazione della NASpI.
Invece se il lavoratore sta riscuotendo una pensione calcolata sui contributi agricoli versati, qualora venissero disconosciute le prestazioni di lavoro agricolo, l’Inps procederà a verificare se la riclassificazione del rapporto di lavoro sia addebitabile a comportamenti omissivi o commissivi del lavoratore, e l’eventuale recupero degli importi incassati indebitamente avverrà attraverso la procedura “RI - Recupero Indebiti” con le consuete modalità previste.