Pac, primo anno di applicazione tra luci e ombre

I risultati dei pagamenti diretti e degli ecoschemi nel 2023

Come hanno funzionato i vari interventi della Pac 2023-2027 nel regime dei pagamenti diretti nel loro primo anno di applicazione? Come sono andati gli ecoschemi e quali sono i riflessi per le imprese agromeccaniche?
Le risposte a queste domande le ha fornite Ermanno Comegna, consulente Cai Agromec, in occasione di un convegno che si è tenuto a Bari durante Agrilevante. L’analisi di Comegna è partita da alcune componenti del regime dei pagamenti diretti di interesse per l’agricoltura del Mezzogiorno, con un primo dato sui titoli disaccoppiati.

«Sono stati richiesti 10,6 milioni di ettari abbinati a titoli disaccoppiati – ha riferito Comegna – a fronte di una stima di 10 milioni eseguita sulla base dei dati 2020, quindi c’è una differenza di 563mila ettari in più rispetto al programmato (pari al 5,6%). Questo però non deve preoccupare, perché lo scostamento è già stato assorbito l’1 gennaio 2023 quando sono stati assegnati i titoli agli agricoltori con una riduzione rispetto agli anni precedenti».
Ma perché si è “sbagliato” e c’è questo divario? «Perché non hanno tenuto conto dell’accesso alla riserva – ha spiegato Comegna – cioè ogni anno in Italia crescono 200mila titoli, in quanto gli agricoltori continuano a chiedere l’accesso alla riserva nazionale». Comegna ha in primis analizzato il sostegno accoppiato al reddito (Sar) per alcune colture a partire dal frumento duro (tab. 1).

Pagamenti diretti

«La previsione del Ministero nel piano strategico della Pac era di 977mila ettari, ma ne sono stati chiesti a contributo 935mila – ha spiegato Comegna –. Ci sarebbe quindi ancora spazio per 42mila ettari, dal momento che questa misura è stata sottoutilizzata dagli agricoltori, in particolare da quelli delle regioni meridionali, per cui il premio unitario sarà superiore a quello programmato.

Se osserviamo il dato degli agrumi, la sottoutilizzazione è stata del 51,5%, perché sono arrivate richieste per 51mila ettari rispetto ai 105mila ettari previsti.

Nel caso dell’olivo, altra coltura tipica del Sud Italia, è successo esattamente il contrario. Il Sar in questo caso va alle produzioni dop e igp. Sono stati stimati 105mila ettari sulla base dell’esperienza passata, ma gli olivicoltori hanno presentato domande per 150.000 ettari. In questo caso il premio sarà inferiore di circa il 50% rispetto ai 112 euro/ha stimati. Infine, le leguminose, da granella e da foraggio, in purezza o in miscugli: qui il montepremi era sufficiente per erogare l’importo indicativo a favore di 978mila ettari, ma le richieste sono state di 824mila ettari, quasi il 16% in meno rispetto al potenziale. Pertanto, l’aiuto a ettaro aumenterà per effetto del minore tiraggio di questa misura».
Risulta quindi fondamentale confrontare il richiesto con il programmato, perché incide sui premi erogati nell’anno di domanda.
«Il piano strategico della Pac – ha continuato Comegna – fissa tre valori sotto forma di contributi a ettaro, il primo dei quali è il contributo indicativo stimato (ovvero quello che il Ministero ritiene possa verosimilmente corrispondere sulla base della dotazione finanziaria della misura e del numero di ettari che si ritiene siano richiesti dagli agricoltori nelle loro domande di aiuto).
Facciamo un esempio concreto: per il grano duro il plafond annuale per il Sar è di 91,4 milioni di euro e il Ministero stima una richiesta di 977mila ettari in base alle statistiche del passato, per cui dividendo lo stanziamento per gli ettari si ricava un aiuto indicativo di 93,5 euro/ha. Ma le domande sono state il 4% in meno, quindi il premio finale salirà a circa 100 euro/ha.
C’è un altro elemento da considerare: oltre all’importo indicativo unitario, vengono individuati un importo massimo e uno minimo, rispettivamente di 103 euro/ha e 84 euro/ha. A consuntivo il valore da corrispondere deve trovarsi tra il minimo e il massimo, tenendo conto che, in base alle regole comunitarie, non si può andare oltre il massimo, ma si può scendere sotto il minimo. In ogni caso il paese membro può fare poi degli aggiustamenti e “spostare” le risorse da un fondo a un altro per rientrare dentro questa forchetta».

Ecoschemi 4 e 5

Passiamo agli ecoschemi. Comegna ne ha analizzati in particolare due, quelli che più coinvolgono le imprese agromeccaniche. «Partendo dall’ecoschema 4, quello dell’avvicendamento colturale – ha riferito Comegna – contiene una sorpresa ormai nota a tutti: il Ministero ha ritenuto che gli agricoltori italiani avrebbero aderito a questo ecoschema per un totale di 1 milione 391mila ettari, ma a consuntivo (quando cioè gli organismi pagatori regionali hanno analizzato le domande) sono risultati 3 milioni 154mila ettari, con uno scostamento di quasi il 127%, cioè più del doppio rispetto al programmato (tab. 2).

Ora, se l’importo unitario programmato standard, per le aree ordinarie (non sono comprese le aree Natura 2000 e le zone vulnerabili ai nitrati), era di 110 euro/ha, con un minimo di 55 e un massimo di 124, l’effettivo importo pagabile che risulta è di soli 48,98 euro/ha (tab. 3).

A questo punto ci potrebbe essere un riproporzionamento delle risorse, spostando i fondi sottoutilizzati in altri interventi della Pac, per arrivare così a 55 euro/ha, che è comunque la metà di 110. Se pensiamo che l’agricoltore, aderendo all’ecoschema 4 si è assunto una serie di impegni (rotazione, difesa integrata e/o biologica, interramento residui) con la promessa di avere 110 euro/ha e a consuntivo ne riceve al massimo 55, il problema c’è». A livello Italia nel complesso è stato chiesto più del doppio rispetto al programmato, ma a livello regionale cosa è successo? «Il caso più eclatante è quello della Lombardia – ha rivelato Comegna – dove il rapporto tra i seminativi da censimento 2022 rispetto a quelli che hanno fatto la domanda per l’Ecoschema 4 è del 3,5% (tab. 4).

In altre parole, solo 3,5 ettari su 100 di seminativi hanno aderito all’ecoschema 4, perché evidentemente gli agricoltori lombardi hanno preferito non accollarsi tutti gli impegni previsti da questo ecoschema e continuare a fare mais in monocoltura dal momento che hanno bisogno di alimentazione zootecnica. In altre aree dove la zootecnia è forte, l’adesione è bassa (18,3% in Veneto e 22,7% in Piemonte), mentre in Toscana, dove di zootecnia ce n’è di meno, il 71,2% dei seminativi risulta sotto impegno per l’ecoschema 4». E per quanto riguarda l’ecoschema 5 (colture a perdere per gli impollinatori sui seminativi) che prometteva ben 500 euro/ha? «Dei 71.300 ettari programmati – ha riportato Comegna – solo 44.799 sono rientrati nella domanda, per uno scostamento in negativo del 37,2%. Questo significa che l’importo unitario definitivo sale a 793 euro/ha, con riferimento sempre alle aree ordinarie, ma essendo superiore a quello massimo programmato (659 euro/ha), si fermerà a quota 659 euro/ha (tab. 5)».

 

L’impatto sulle imprese agromeccaniche

Secondo Comegna l’Italia nel piano strategico della Pac ha programmato l’ecoschema 4 in maniera eccessivamente complicata e alla resa dei conti inefficace. In più ci sono problemi di coerenza ed equilibrio con la Bcaa 7 della condizionalità rafforzata. Pertanto, occorre rimediare.

«L’eco-schema 4 risulta difficile da interpretare in modo corretto dagli agricoltori e anche dai tecnici che prestano servizi di consulenza – ha concluso Comegna –. Per quanto riguarda la Bcaa 7, non si capisce per quale ragione sia stato disposto l’obbligo di raccogliere la coltura secondaria e il divieto di sovescio. Peraltro, questi importanti chiarimenti sono intervenuti in via ufficiale solo ad autunno inoltrato, con una semplice Faq del Ministero. Non si comprende per quale motivo una semplice norma di condizionalità preveda l’obbligo della raccolta. Tale disposizione appare incompatibile con la filosofia che è alla base del regime del disaccoppiamento».

In conclusione, cosa comporta la nuova Pac per i contoterzisti?

Secondo Comegna è sintetizzabile in 7 punti:

  1. maggiore ricorso a colture secondarie per soddisfare l’avvicendamento della Bcaa 7 e l’ecoschema 4. Quindi, le colture secondarie diventano più importanti di prima e questo modifica la domanda di servizi agli operatori agromeccanici;
  2. richiesta per prestazioni migliori da parte degli allevamenti zootecnici. Si deve infatti considerare come una delle misure più importanti della Pac 2023-2027 sia la riduzione del farmaco veterinario che, tra gli altri accorgimenti, si ottiene utilizzando materie prime alimentari che siano sane e di qualità;
  3. richiesta di eseguire il controllo meccanico delle infestanti. Ad esempio, per accedere all’ecoschema 2 degli oliveti e delle colture arboree e all’ecoschema 4 degli avvicendamenti nei seminativi, occorre praticare la gestione meccanica delle malerbe;
  4. maggiore diffusione delle tecniche di lavorazione ridotta dei terreni, per effetto della condizionalità rafforzata e di alcuni ecoschemi;
  5. maggiori richieste di prestazione da parte degli agricoltori che seguono l’approccio biologico (uno degli obiettivi del piano strategico è portare il biologico al 30% entro il 2030), ma anche sull’integrato dove molte regioni hanno aumentato gli stanziamenti;
  6. richiesta da parte degli agricoltori di fornire prove documentali per giustificare l’accesso ad alcuni interventi della Pac. In prospettiva ai contoterzisti si chiederà di fornire dati e riscontri oggettivi che una certa operazione è stata fatta in un certo modo e in un periodo preciso;
  7. aumento delle necessità di registrazione, elaborazione e memorizzazione dei dati relativi alle operazioni colturali (ad esempio il registro dei trattamenti nel fascicolo aziendale).
Pac, primo anno di applicazione tra luci e ombre - Ultima modifica: 2023-11-08T18:00:19+01:00 da Francesco Bartolozzi

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