Ariane Lotti, 37 anni, nata e cresciuta a New York, è la titolare dell’azienda agricola e agrituristica Tenuta San Carlo (Gr) a vocazione cerealicola estesa su una superficie complessiva di 480 ha. Dopo aver conseguito la laurea in scienze ambientali e agricoltura sostenibile nel Connecticut, Ariane decide di tornare in Italia per gestire insieme a sua sorella l’azienda di famiglia (fondata dal bisnonno e inattiva da 25 anni) avviando un percorso di modernizzazione e sviluppo dell’impresa e puntando sul riso biologico.
Le due tecniche sperimentali
Oggi Tenuta San Carlo è la prima e unica azienda in Toscana che produce riso bio. «Nell’ottobre 2015 abbiamo intrapreso il percorso pluriennale di transizione alla produzione biologica certificata. Nella produzione del nostro riso – spiega Ariane Lotti – seguiamo le rigorose normative dell’agricoltura biologica e non utilizziamo erbicidi, pesticidi o fungicidi. Per farlo iniziamo a preparare i terreni diversi mesi prima della semina per evitare la crescita di erbe infestanti e altri potenziali imprevisti che ostacolerebbero un sano raccolto. Per diminuire il consumo dell’acqua nella coltivazione di riso e migliorare la qualità di prodotto utilizziamo due tecniche sperimentali, una basata sull’irrigazione di precisione e l’altra su una copertura vegetale con pacciamatura».
Come funzionano queste due tecniche sperimentali? Quali risultati?
Per ottimizzare resa e costi e ottenere un riso di alta qualità stiamo sperimentando due tecniche innovative. La prima è una tecnica di precisione, che punta sull’irrigazione a goccia. In collaborazione con il Crea di Vercelli, l’ente Terre Regionali e un’altra azienda toscana, abbiamo studiato un metodo alternativo per la coltivazione di riso. Nello specifico, abbiamo tolto il riso dalla classica risaia, lo abbiamo messo in un campo di seminativo di 1 ettaro irrigandolo attraverso un impianto a goccia. L’obiettivo era minimizzare l’impiego della risorsa idrica e capire quale tipologia di infestante nasceva in un sistema del genere. Questa tecnica permette di ottenere una produzione interessante, anche se c’è ancora molto da migliorare.
L’altra tecnica, sviluppata da risicoltori biologici del Nord Italia che io ho adattato alla situazione pedoclimatica maremmana, è anch’essa in pieno campo, in una risaia di 5 ettari. In autunno abbiamo livellato una risaia come se dovessimo seminarla, come si fa solitamente ad aprile, e abbiamo piantato un erbaio di loietto e veccia. Questo erbaio è cresciuto durante l’inverno e a maggio abbiamo seminato direttamente il riso nell’erbaio. Poi abbiamo trinciato la massa dell’erbaio e allagato il campo. Questo porta a una fermentazione della massa. L’effetto de loietto e della pacciamatura rallenta la nascita delle infestanti e inizialmente anche la germinazione del riso che poi però si stabilisce e riesce a crescere vigoroso. Questa tecnica è rivoluzionaria perché permette di fare la maggior parte delle lavorazioni in autunno, quando normalmente abbiamo tempo e il clima è più stabile, e poi perché consente di gestire il problema delle infestanti lavorando direttamente sulla qualità del suolo. Il risultato è stato molto interessante. Nelle zone dove c’era poca pacciamatura sono nate molte infestanti, nelle altre meno, ma il riso era comunque dominante. La prospettiva è ottenere una resa produttiva maggiore del 10% e con molte meno infestanti.
Per il 2021 ho già iniziato a preparare il doppio della superficie per applicare più estesamente questa tecnica.
A oggi la tua resa produttiva quant’è?
Circa 40 q/ha su 35 ha l’anno dedicati al riso bio. Coltivo due varietà di riso: Carnaroli e Ribe, quest’ultimo compete molto bene con le infestanti per la coltivazione in biologico.
Come è nata la scommessa di fare riso biologico in Toscana?
Credo che la prima spinta sia stata la grande passione che ho sempre avuto per l’agricoltura e la natura, anche se sono nata in città. Ho scelto di puntare sul bio perché coltivare in sinergia con la natura è più facile che combatterci contro. Inoltre, la ricerca su sistemi agro-ecologici dimostra che sono i più resilienti ai repentini cambi climatici. Certamente la coltivazione del riso bio è molto difficile. All’inizio mi sono confrontata con persone importanti del mondo agricolo e tutti mi avevano sconsigliato di intraprendere questa strada perché infruttuosa. Non ho desistito, negli anni ho conosciuto risicoltori bio molto bravi che hanno condiviso con me il loro know how e grazie alla mia caparbietà sono riuscita a mettere in pratica i loro consigli nei miei campi.
Credo che un aspetto caratterizzante di noi giovani agricoltori, e lo vedo anche nella rete di Anga alla quale appartengo, sia il non aver paura di rischiare e il coraggio di raccogliere le sfide.
Il primato di essere l’unica azienda in Toscana che fa riso biologico in cosa si è tradotto?
Certamente in un’opportunità di mercato. In Toscana si produce praticamente tutto, mancava il riso biologico. Mi sono inserita in questo spazio e finora il riscontro è stato buono. Considerando che per i prodotti a marchio aziendale sono partita da zero, oggi, dopo tre anni, l’incremento del fatturato agricolo è pari a circa il 5%, senza contare l’agriturismo e l’allevamento.
Attualmente vendo su tutto il territorio italiano tramite e-commerce. Appena arrivata in azienda ho fatto una stima su cinque anni per avviare gli investimenti in impianti e macchinari che servivano. Non è stato facile, ho dovuto ricostruire filiere. Mi servivano dei partner e sbocchi commerciali importanti per la materia prima, considerando che mando via cinque camion l’anno di risone e circa 13 se si includono tutte le altre coltivazioni.
I contratti di filiera sono stati dunque determinanti per la riuscita del progetto?
È importante trovare collaboratori validi di filiera dove si possa lavorare con contratti che, anche se cambiano leggermente di anno in anno e sono da migliorare sotto alcuni aspetti, danno un minimo di certezza su una fascia di prezzo. Questo permette a una azienda agricola di fare e programmare degli investimenti. Per me lavorare con contratti di produzione è fondamentale. A riguardo ho anche beneficiato nell’ambito dei Psr del Pif (Progetto innovativo di filiera) che mi ha aiutato sia a livello di contributi europei che nella costruzione di filiere e reti sul territorio.
Quanto al prezzo, sicuramente quello del riso bio è più alto del convenzionale ma la coltivazione richiede tanti costi. Io non ho la spesa del diserbo ma ho più spese di manodopera e consumo di parco macchine. Per rientrare dei costi e beneficiare del prezzo finale più alto bisogna valorizzare la risaia negli anni in cui non si coltiva il riso.
Altri progetti?
I prossimi passi aziendali saranno incentrati ad aggiungere valore al prodotto. E per fare questo investirò nella ricerca di diverse tipologie di riso. Il mondo della risicoltura è molto ampio e c’è tanto spazio per la creatività. Altro obiettivo è terminare la messa in sicurezza, sto investendo in strutture di stoccaggio e pulizia per lavorare meglio e con più tranquillità. Infine, mi piacerebbe puntare sulla didattica in azienda, costruire rapporti e offrire una formazione strutturata coinvolgendo i giovani. Credo che la formazione sia un tema importante per il futuro di questo settore. E il futuro è rappresentato dai giovani, che hanno bisogno non solo di contributi per il primo insediamento ma anche di sviluppare conoscenze e capacità imprenditoriali, altrimenti rischiano di chiudere dopo qualche anno dall’avvio delle loro imprese per i troppi debiti. Io posso dire che nei primi anni ho vissuto momenti molto difficili, non ho mollato, ho sempre studiato, mi sono confrontata con esperti, e adesso che le attività iniziano a marciare sono molto fiera e soddisfatta di avere una azienda mia e poter continuare a sviluppare e innovare in questo settore.