Donne in agricoltura, dal 2021 perse diecimila imprese

donne in agricoltura
I dati di Unioncamere evidenziano una decrescita dell’imprenditoria femminile, non sostenuta da politiche europee e nazionali

Imprenditrici agricole multifunzionali, promotrici dell’agricoltura sociale e delle fattorie didattiche, impegnate nel settore agrituristico, attente alla valorizzazione e conservazione del territorio e della cultura rurale, innovatrici di prodotti e processi: le donne hanno contribuito e continuano a contribuire alla crescita e allo sviluppo del settore agricolo tutto. Eppure le imprese femminili in agricoltura registrano una flessione costante negli ultimi anni.

L’imprenditoria femminile non decolla

Dati – Unioncamere – alla mano: al 31 dicembre 2021 le aziende guidate da donne nei settori agricoltura (predominante), silvicoltura e pesca erano 206.938, con una variazione percentuale del -1,65% rispetto al 2019, che significa 3.464 imprese in meno (saldo 2021-2019).

Nel dicembre 2022 le imprese femminili erano 202.870, ossia 4.068 aziende in meno rispetto all’anno precedente (-1,97% variazione 2022-2021).

Gli ultimi dati diffusi da Unioncamere ci dicono che a dicembre 2023 le imprese agricole femminili erano 196.759, vale a dire 6.111 in meno rispetto al 2022 (con una variazione percentuale del -3% rispetto a dicembre 2022).

Negli ultimi anni esaminati (2021-2023) l’Italia ha quindi perso 10.179 imprese agricole guidate da donne.

Un dato che deve far riflettere. Qual è il nodo da sciogliere?

Assenti politiche ad hoc

La Pac 2023-2027 ribadisce che “l’integrazione della dimensione di genere rappresenta uno dei principi fondamentali dell’Unione e invita gli Stati membri a porre particolare impegno alla partecipazione e alla promozione del ruolo delle donne in agricoltura”.

Eppure, come sottolineato dalla presidente di Donne in Campo-Cia, Pina Terenzi, «oggi le donne non solo sono assenti da provvedimenti dedicati nella Pac e nel Pnrr, ma sono state escluse dagli incentivi ad hoc della misura “Più Impresa”, non rifinanziata dall’ultima legge di Bilancio, e colpite dal netto peggioramento di “Opzione donna”. Anche il Fondo Impresa Donna ammette agli stanziamenti le imprenditrici di tutti i settori, compreso quello della trasformazione alimentare, ma tiene fuori la produzione agricola.

Cancellare le donne dell’agricoltura dalle politiche nazionali ed europee – ha incalzato Terenzi – significa rinunciare completamente a un approccio plurale e multifunzionale, necessario a traghettare nel futuro il comparto e il Paese».

donne agricoltura
Pina Terenzi

Le “quote rosa” funzionano a livello mediatico

«La Politica agricola comune dell’Ue è discriminante – ha proseguito Terenzi – poiché prescrive regole uguali per tutti, piuttosto che valorizzare le differenze garantendo pari opportunità. A fronte di una grande attenzione ai temi femminili sul fronte mediatico, le azioni concrete sembrano andare in un altro verso».

Una realtà penalizzante

«Tuttora alle agricoltrici, come a tutte le lavoratrici autonome – ha precisato la presidente di Donne in Campo – viene riconosciuta solo la maternità obbligatoria, ma con un’indennità economica insufficiente e non sono coperte né la maternità a rischio né il congedo parentale per assistere familiari con disabilità. Inoltre, continua a non essere valorizzato e supportato da politiche concrete il lavoro delle donne nelle aree rurali e interne, mancando adeguati servizi sanitari e scolastici.

Soltanto lavorando su politiche più eque e garantendo la sinergia tra più modelli di agricoltura – ha concluso Terenzi – si potrà uscire da una crisi che ha visto più che dimezzato negli ultimi venti anni il numero complessivo di aziende agricole. Il nostro Paese non ha bisogno di meno agricoltura. Ha bisogno di più agricolture, a partire da quella femminile».

Quando le agricoltrici scendono in campo

Nonostante le difficoltà e i numeri in discesa le donne continuano a giocare la loro partita e a segnare punti importati. Secondo i dati dell’ultimo censimento Istat, all’interno delle aziende agricole si è leggermente rafforzata la partecipazione delle donne nel ruolo manageriale. I capi azienda donna nel 2020 sono pari al 31,5%, quasi una su tre. Nel 2010 erano il 30,7% e nel 2000 il 25,8%.

Le aziende guidate da donne sono collocate soprattutto nelle Regioni del Centro Sud.  La percentuale più alta (40%) di donne imprenditrici agricole è in Molise. Nonostante le donne gestiscano storicamente aziende più piccole (7,7 ettari in media, rispetto ai 12 degli uomini), anche qui, stanno guadagnando terreno. Il settimo censimento Istat documenta che nel 2000 almeno la metà delle imprese femminili aveva meno di un ettaro di superficie agricola utilizzata, ad oggi le microaziende guidate da donne sono soltanto una su cinque.

Giovani imprenditrici alla riscossa

E, sebbene, come rilevato dall’Istat, la classe di età prevalente di donne capo azienda superi i 60 anni, le giovani agricoltrici under 35, alla guida di circa 13mila aziende e con un alto livello di istruzione -una su quattro è laureata (25%) -, rappresentano quel motore pulsante che sta crescendo e spingerà le donne verso il futuro in agricoltura. Non senza adeguate politiche e misure per rafforzare il comparto.

Sono tanti gli esempi di giovani imprenditrici agricole tenaci e innovative che hanno deciso di puntare sul settore primario spinte dalla convinzione di poter trovare opportunità lavorative e crescita professionale. Nel nostro Osservatorio Giovani Agricoltori abbiamo dato loro voce e continueremo a farlo. Perché l’agricoltura ha bisogno di futuro.

Ecco alcune storie:

Primo insediamento: «Che fatica, ma ho vinto la scommessa»

Soia, sperimentare e diversificare con l’agricoltura di precisione

Apicoltura, «Con le arnie biologiche ci vuole passione»

Donne in agricoltura, dal 2021 perse diecimila imprese - Ultima modifica: 2024-03-08T08:30:26+01:00 da Laura Saggio

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento
Per favore inserisci il tuo nome