Fanghi di depurazione, semplificare per favorire l’utilizzo nei campi

fanghi di depurazione
Serve rimuovere gli ostacoli normativi e la cattiva (ed errata) percezione del consumatore. La ricerca spinge per la semplificazione e un cambio di nome, dialogando anche con gli agricoltori

Opportunità e criticità di una risorsa poco conosciuta e talvolta, purtroppo, anche demonizzata: i fanghi di depurazione. Questo l’argomento di un incontro organizzato da Chimica Verde Bionet in collaborazione con l’Università di Bologna, dal titolo "Chiudere il cerchio. Uso dei fanghi di depurazione sui suoli agricoli”.

A introdurre il tema è stato Giovanni Dinelli, direttore del dipartimento di agraria Distal, con dati allarmanti che sottolineano l’urgenza del tema. «Oggi i suoli agricoli vanno incontro a una perdita sempre maggiore di fertilità: il Joint Research Centre stima che il 75% delle terre coltivate in Europa contiene meno del 2% di Soil Organic Carbon (Soc), che rappresenta il carbonio contenuto nel suolo in seguito alla decomposizione della materia organica. Questo dato si traduce in una perdita di sostanza organica nel terreno che oggi è inferiore alla soglia del 3%» ha spiegato Dinelli.

La situazione dell’Emilia-Romagna non è migliore del resto del continente, dove il 40% del suolo pianeggiante è classificato come a basso o bassissimo contenuto di sostanza organica (<2%).

La situazione del suolo in Emilia-Romagna. La mappa indica il quantitativo di carbonio organico contenuto nel top soil (da 0 a 30 cm di profondità)

«Le uniche eccezioni, se non si considerano la striscia appenninica e l’area dove sfocia il delta del Po, sono rappresentate dalla provincia di Parma e da quella di Reggio Emilia: qui si osservano delle oasi felici, dove le condizioni del suolo sembrano essere nettamente migliori rispetto all’areale circostante – ha continuato il ricercatore –. Forse bisogna ricercare la ragione di questo fenomeno nella capillare presenza, in questi territori, di allevamenti zootecnici?».

Risorsa o problema?

I motivi per cui vengono recuperati e impiegati i fanghi in agricoltura sono numerosi e permettono di far fronte alle più variegate esigenze ecosistemiche. I prodotti dei fanghi sono in grado di garantire la funzionalità dei suoli, possono inserirsi in un contesto di economia circolare e portano alla chiusura dei cicli biogeochimici degli elementi.

Da un punto di vista strettamente agronomico, consentono poi di recuperare il carbonio organico insieme a diversi elementi nutritivi e sono idonei a garantire e rispettare qualità e sicurezza del sistema suolo-pianta, uomo e ambiente.

Modello grafico che schematizza il concetto di economia circolare: dalla materia prima alla produzione, con recupero di tutto il materiale di scarico possibile. Lo smaltimento rappresenta l’ultima spiaggia

Una giungla normativa

Come spesso accade, anche in questo caso la normativa vigente è il principale ostacolo alla diffusione e alla fruibilità dei fanghi di depurazione. Il quadro è estremamente complesso: le norme attualmente presenti hanno una diversa efficacia territoriale (dai Regolamenti e Direttive Europee fino alle norme regionali prodotte dai rispettivi Consigli) e spesso si sovrappongono, confliggendo tra loro e facendo sì che, per gli operatori del sistema, districarsi in questa “giungla” burocratica risulti estremamente complesso.

Claudio Ciavatta, professore ordinario di Biochimica agraria e fertilità del suolo dell’Università di Bologna, Tania Tellini di Utilitalia e Marco Trevisan, docente di Chimica agraria presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, hanno concordato su questa situazione, delineando un "disagio normativo" reale e percepito da tutti.

In questo ambito è necessario citare l’articolo 19 del Regolamento Europeo 2019/1009, il cui aspetto chiave è rappresentato dall’End of Waste, secondo cui l’applicazione di un trattamento o di un processo di recupero da un rifiuto, gli fa perdere questa qualifica e il risultato finale è l’ottenimento di un prodotto.

Valutare la qualità

Allo stesso tempo, poi, è imprescindibile valutare e monitorare la qualità dei fanghi di depurazione, in maniera tale che rispettino dei limiti nelle concentrazioni di macro e microelementi, solidi volatili e non, idrocarburi, e infine composti organici perfluorati. Essenziale all’inquadramento del tema è anche individuare la distinzione esistente tra contaminante e inquinante.

Quando parliamo di contaminante, facciamo riferimento alla presenza di una sostanza in un bene a una concentrazione tale da permetterne ancora la fruizione. Quando invece la sostanza limita, a causa della concentrazione, l’accesso al bene stesso, viene detta inquinante.

Un’altra necessità sta nel definire e successivamente costituire una “carta di identità” dei fanghi, come ha sottolineato Alberto Confalonieri, coordinatore comitato tecnico Cic (Consorzio Italiano Compostatori). Il documento si pone come obiettivo quello di creare un protocollo che consenta di caratterizzare il fango idoneo all’agricoltura, prendendo in considerazione sia parametri che ne valutino le caratteristiche agronomiche, sia parametri relativi ai contaminanti (e non inquinanti!). Il fine ultimo è ovviamente la promozione del ritorno dei fanghi in ambito agricolo, visti, ancora una volta, come una valida risorsa.

Ad oggi la definizione di una carta di riconoscimento dei fanghi di depurazione non è univoca, richiede ancora analisi accurate e diversi sono i temi emergenti. Tra questi, particolarmente interessanti, sono le valutazioni complessive di ecotossicità delle matrici e la questione della generazione di odori in fase di applicazione. Riguardo questo ultimo punto, è necessario definire e trovare un parametro che possa valutare in maniera adeguata l’impatto odorigneo del prodotto.

Ma la ricerca va avanti

Nonostante i numerosi ostacoli che frenano l’applicazione di questi prodotti in agricoltura, gli studi e le indagini che caratterizzano questa materia sono stimolanti e continue. Tante sono le iniziative portate avanti dalle Università e dalle aziende con l’obiettivo di implementare l’efficienza di produzione dei gessi di defecazione, insieme a comprendere quali siano gli effetti di questi fertilizzanti e ammendanti sulle diverse colture.

Alcuni studi portati avanti dal Distal coprono lunghissimi intervalli di tempo: si arriva fino a sei anni di sperimentazione, consentendo quindi non solo di valutare l’immediato effetto che il gesso ha su una determinata coltura a una determinata dose di applicazione, ma anche le ripercussioni sulla salute del suolo nel lungo periodo.

Processo di ottenimento dei fanghi, a partire dalle acque primarie

Chiudere il cerchio

Nonostante i fanghi siano ormai riconosciuti come risorsa, restano i limiti, soprattutto burocratici, della materia. Questi prodotti devono oggi confrontarsi con un ginepraio normativo che rende la loro produzione e utilizzo estremamente complesse. A questo si aggiunge anche un problema logistico che si ripercuote sull’utilizzatore finale. Le industrie che producono i gessi richiedono grandi dosi di energia e i costi finali sono ancora elevati.

Infine, non è da ignorare come il consumatore finale percepisce questo tema. Spesso l’opinione pubblica ha criticato e demonizzato l’applicazione dei fanghi in agricoltura visti, non a ragione, come prodotti potenzialmente insalubri o addirittura tossici. Questo aspetto è un punto chiave e un grande limite alla diffusione di questa risorsa e la soluzione risulta purtroppo complessa.

Una soluzione, si è detto durante il dibattito finale, potrebbe essere quella di cambiare nome al prodotto, in modo tale che il consumatore ne sia meno spaventato. Sicuramente rimane essenziale il ruolo della comunità scientifica, che deve essere disponibile a spiegare e rendere accessibile a tutti un tema complesso e in continua evoluzione. Questo rapporto deve essere stretto non solo con il consumatore finale, ma anche con l’agricoltore, che è colui che può mettere in pratica il vero cambiamento.

Fanghi di depurazione, semplificare per favorire l’utilizzo nei campi - Ultima modifica: 2025-05-13T10:34:14+02:00 da Alessandro Piscopiello

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