«Siamo stati i primi in Europa a coltivare l’uva da tavola fuori suolo. È stata una sfida dura che siamo riusciti a realizzare mettendo in campo tutte le nostre competenze e la nostra grande passione». Lo afferma il giovane anghino Emanuele Vita, classe ‘87, che, insieme ai fratelli Giuseppe e Andrea, gestisce dal 2011 l’Azienda agricola Geva dei fratelli Vita a Favara (Ag). Laureato in Agraria e specializzato in Agro Ingegneria, dopo alcuni viaggi all’estero e corsi professionalizzanti, Emanuele, Giuseppe e Andrea decidono, sorretti dal padre Carmelo, di prendere in mano le redini dell’azienda di famiglia vocata alla vitivinicoltura tradizionale e dare una svolta decisa verso l’innovazione, puntando sulla coltivazione di uva da tavola fuori suolo a ciclo chiuso, riuscendo anche a completare due vendemmie in un anno sulla stessa pianta.
La realizzazione di un sogno
Come è nata questa scommessa?
Io e i miei fratelli siamo cresciuti con il sogno di lavorare nell’azienda agricola di famiglia. Completati gli studi abbiamo deciso di osare e realizzare una nostra impresa indipendente e complementare all’azienda vitivinicola di mio padre. Il fuori suolo è stata la nostra scommessa. Nessuno in Europa produceva uva da tavola con questo metodo innovativo. Oltre a puntare sulla produzione abbiamo realizzato una struttura commerciale in cui confezioniamo e commercializziamo il frutto, chiudendo così tutta la filiera. In azienda Giuseppe si occupa della progettazione, Andrea della parte commerciale, io di quella agronomica in campo.
Un sistema interamente digitalizzato
Uva da tavola, come ha inizio la coltivazione fuori suolo?
Nella coltivazione fuori suolo alleviamo la pianta di vite in un vaso piccolo di 9 litri. All’interno del vaso mettiamo della fibra di cocco sterile che grazie alla sua capacità di ritenzione consente alla pianta di assorbire in modo ottimale acqua e nutrimenti trasmessi tramite un irrigatore automatizzato e gestito da noi attraverso un software da remoto. Il sistema di allevamento è dunque interamente digitalizzato e tutti i parametri di crescita sono costantemente monitorati.
Dopo tante prove in campo abbiamo capito che la soluzione migliore per la pianta è che per ogni litro dato il 30% deve essere drenato, altrimenti i concimi, nonostante siano naturali, possono condurre stress alla pianta per eccesso di conducibilità elettrica nel vaso. Il passo successivo è stato chiudere il ciclo. I reflui drenati vengono gestiti da una canalizzazione delle acque che recupera tutta l’acqua concimata e la porta in una vasca di accumulo in cui si trova uno sterilizzatore a raggi Uv. L’acqua priva di batteri viene poi rimessa in circolo, integrando l’acqua e i concimi mancanti. In questo modo si riesce ad annullare lo spreco di acqua e concime, risparmiando ovviamente nei costi di gestione: circa il 30% all’anno. Inoltre, questo processo virtuoso, che permette l’isolamento dal sottosuolo e la gestione dei reflui in maniera indipendente e funzionale, non inquina le falde acquifere.
Le caratteristiche del fuori suolo
Quali sono le differenze e i vantaggi di questo metodo rispetto a quello tradizionale?
Il vigneto classico viene coltivato in suolo e ciascuna pianta ha una distanza sulla fila e tra le file di 2,8 metri per 2,8 metri e la produzione media che si ottiene è di circa 25kg per pianta. Nel fuori suolo alleviamo in serra e ogni pianta dista l’una dall’altra circa 40cm, abbiamo quindi un impianto molto più fitto. Ma riusciamo a mantenere la pianta molto più leggera e invece di produrre 25kg ne produce 4kg. Facciamo una selezione dei frutti, lasciamo pochi grappoli, e la pianta riesce così a portare a maturazione il frutto molto prima. Se in un vigneto classico la raccolta avviene ad agosto, in fuori suolo riusciamo a vendemmiare a fine maggio. E, quando il clima lo permette, facciamo addirittura due raccolte: una a maggio e una a novembre. Queste due vegetazioni sono possibili perché noi riusciamo a dare alla pianta tutto quello di cui ha bisogno per crescere in modo ottimale in ogni attimo.
Aumenta la produzione
Due vendemmie in un anno significa doppia resa.
Dal 2011 siamo alla 15esima vendemmia. Certamente l’investimento iniziale per mettere in piedi questa innovazione è stato più elevato rispetto a quello che serve per realizzare un vigneto classico ma siamo rientrati delle spese rapidamente. La nostra uva precoce ci ha aperto nuovi mercati, anche oltre oceano.
Sostenibilità e qualità
L’innovazione e il digitale incrementano dunque la sostenibilità economica di una azienda mantenendo una elevata qualità delle produzioni.
Precisamente. La nostra serra all’avanguardia è un ambiente privo di umidità e molti insetti e patogeni, non riconoscendolo come naturale, non vi entrano. Questo si traduce in una riduzione, pari al 50%, dell’uso di antiparassitari. Quella che può sembrare un’uva hi-tech e artificiale, in realtà contiene molta meno chimica rispetto al vigneto tradizionale; anche perché i vigneti tradizionali, anno dopo anno, si stancano e cominciano a indebolirsi e ad avere bisogno di più aiuto chimico. Inoltre, noi non utilizziamo il portainnesto. Nel fuori suolo in serra la Fillossera della vite, non riconoscendo l’ambiente, non attacca la vite.
Al passo coi tempi
Uva da tavola, come riuscite a produrre senza portainnesto?
Tagliando il rametto di una pianta e rimettendolo accanto, così facendo ottengo un’altra pianta di uva, sviluppo l’altro vigneto e dopo un anno raccolgo già quell’uva. Questa tecnica mi permette di avere un sistema molto più dinamico. Se oggi il mercato mi chiede un’uva rossa, piccola e con seme io allevo quella, se tra due anni me ne chiede una bianca con semi cambio rapidamente varietà. In un vigneto classico metto quella varietà e spero che per i prossimi vent’anni vada bene. Considerando che oggi i mercati si evolvono con molta più velocità rispetto agli anni ‘80/’90, il nostro metodo senza portainnesto è un altro valore aggiunto importante.
Gestione con software
Parlaci della tecnologia che adottate in serra per allevare le piante di uva da tavola.
Abbiamo una serra di 4.800 metri in fuori suolo. Il clima all’interno della serra è gestito da un software. Noi impostiamo i parametri di temperatura massima e al raggiungimento di questi si aprono automaticamente le finestre laterali e, se la temperatura è ancora troppo alta, anche i tetti. Se la temperatura di inverno si abbassa e rischiamo la gelata si aziona un riscaldamento sia basale che fogliare per riscaldare le piante. Inoltre in serra per combattere in modo naturale l’oidio (malattia fungina) abbiamo installato nei tetti dei sublimatori elettrici di zolfo che distribuiscono di notte in modo automatico lo zolfo allo stato gassoso sulle piante.
Per essere più competitivi
L’innovazione, il digitale, la multifunzionalità sono i pilastri dell’agricoltura del futuro?
L’innovazione è dinamicità. Non dobbiamo più pensare a un’agricoltura standard e stabile. Le nuove tecnologie consentono di accorciare i tempi e di essere più competitivi. Per noi l’innovazione è stato il mantra che ci ha fatto cambiare impostazione aziendale. Siamo riusciti a crearci una nostra identità precisa. Prima eravamo una delle tante aziende che produceva uva da tavola. Oggi abbiamo un valore aggiunto, l’uva extra precoce, che ci permette anche di andare a bussare ai clienti dall’altra parte del mondo e per i quali stiamo mettendo a punto confezionamenti ad hoc che mantengano più a lungo la freschezza del prodotto. Unitamente alla spinta innovativa servono passione e formazione. Siamo in continua collaborazione con l’Università di Palermo, viaggiamo spesso per apprendere nuove tecniche. Molte università e istituti agrari del mondo sono venuti a trovarci. Quattro anni fa abbiamo ospitato in azienda il simposio mondiale dell’uva da tavola. Organizziamo attività didattiche in azienda per le scuole dagli asili alle università, agli istituti agrari. Tutto questo per noi è l’agricoltura del futuro.
E’ molto interessante, complimenti. Però dall’articolo non sono riuscita a capire in che modo si ottiene la doppia fioritura per una seconda raccolta.