Produzione eccezionale di sostanza secca in qualsiasi condizione pedoclimatica, elevata rusticità, consistente potenziale metanigeno, polivalenza di utilizzo nelle filiere agro energetiche, possibilità di stipulare contratti di coltivazione e di adesione ai regimi di sostegno alle colture biologiche, sono alcuni tra i principali punti di forza dell’Arundo donax, la canna comune, che dopo otto anni di ricerca, sperimentazione e prove pratiche sul campo e nella trasformazione in energia, oggi si propone al mondo agricolo come nuova coltura dal futuro molto promettente.
Di arundo se ne parla da tanto tempo ma come mai non ha ancora trovato estimatori nelle nostre campagne?
«Perché solo oggi possiamo dire di aver chiarito, con esito positivo, tutti gli aspetti che sono legati alla sua coltivazione e all’utilizzo nelle filiere del biogas, del calore e della produzione di bioetanolo», dice Alessandro Arioli agronomo e docente di Tecnologie delle biomasse all’Università del Piemonte Orientale.
«Un primo aspetto è che l’arundo è una graminacea perenne che si moltiplica asessualmente (da rizomi ipogei e da gemme vegetanti dagli internodi del fusto) e non per semente, pertanto c’è la necessità di favorire un’intensa attività vivaistica per sostenerne una diffusione su ampia scala. Attività che peraltro in questi anni è stata portata avanti pressoché in esclusiva mondiale dai Vivai Franco Alasia di Savigliano (Cn), i quali nel corso di dieci anni hanno collezionato, selezionato e moltiplicato circa 90 cloni di arundo adatti a qualsiasi condizione agropedoclimatica del nostro paese. Quindi tra le maggiori criticità per una rapida diffusione dell’arundo in Italia vi é la disponibilità di un sufficiente numero di rizomi e/o di gemme vegetative: in tal senso l’espansione attesa dal mercato fungerà certamente da volano per un’intensificazione dell’attività vivaistica. È anche possibile la moltiplicazione in vitro, ma in tal caso è sempre riscontrabile in campo un ritardo nella crescita vegetativa rispetto agli arundeti moltiplicati per rizoma o gemma vegetante».
1 ha di arundeto come 2 ha di mais
Che tipo di pianta è l’arundo e come si inserisce nel contesto delle agro energie?
«È una pianta che, una volta messa a dimora, rinnova la propria chioma ogni anno a fronte della raccolta dell’intera massa vegetale epigea, con 1-2 tagli all’anno in funzione della destinazione energetica. Ogni anno fornisce, come media delle varie situazioni agropedoclimatiche e di tecnica agronomica, 40 t/ha di sostanza secca con una produzione di biogas di circa 25.000 Nmc, circa il doppio del mais. Semplificando, un ettaro di arundeto equivale a due ettari di mais per la resa del biodigestore. Teniamo conto che l’arundo può garantire due raccolti/anno, con una prima trinciatura per insilamento da giugno a fine luglio in funzione delle zone d’Italia ed una seconda trinciatura, sempre per insilato, a fine ottobre: oppure può essere lasciata in campo sino a dicembre-marzo se si opta per la destinazione d’uso nelle centrali termiche».
Dal punto di vista agronomico come si gestisce l’arundo?
«Si mette a dimora, continua Arioli, a inizio primavera se si utilizzano i rizomi a gemma dormiente oppure durante la stagione vegetativa se si usano gli internodi a gemma vegetante, con una densità massima di circa 1 pianta al mq e sesti variabili in funzione della giacitura del terreno, dell’esposizione alla luce e della logistica di raccolta. La coltivazione è totalmente meccanizzata, dalla messa a dimora, con trapiantatrici ispirate a quelle che si usano per i tuberi di patata, sino alla trinciatura con testate da mais oppure con quelle speciali utilizzate per il pioppo da SFR nel caso di arundeti raccolti in inverno. Nel primo anno si ottiene una produzione di sostanza secca pari fino al 50% del potenziale della pianta, che viene raggiunto già nel secondo anno. Non si conoscono al momento parassiti animali né vegetali. L’arundeto non necessita di elevate concimazioni minerali mentre si dimostra molto efficiente nell’utilizzo di materiale organico ricco di C, e può essere considerato una sorta di fitodepuratore naturale capace di adsorbire quantità elevate di C organico e di CO2 da aria, acqua e suolo. Infine, un aspetto non ancora evidenziato dal dibattito sull’arundo: la pianta è parca nella richiesta di N, e ad esempio fertilizzando l’arundeto solo con digestato da biogas si offre l’opportunità all’agricoltore di far rientrare l’impianto a partire dal 2° anno nel regime previsto per la coltivazione biologica con le relative contribuzioni dell’Ue (nell’anno di messa a dimora si aiuta l’arundeto con un diserbo anti-germinello)».
LE DESTINAZIONI
Quali sono dunque le destinazioni energetiche dell’arundo?
«Le filiere dove l’arundo rientra a pieno titolo sono: a) produzione di biogas; (b) combustione per produzione di energia elettrica e termica; (c) produzione di bioetanolo, nonché nei fitodepuratori. Nei biodigestori può entrare in miscela sino al 50% della biomassa, costituendo la componente no-food. È opportuno verificare caso per caso con un’analisi qualitativa del prodotto la miscela ideale da immettere nel biodigestore, dal momento che l’arundo necessita di un’integrazione con materiali contenenti zuccheri facilmente fermentescibili quali insilato di mais e/o di triticale, vinacce, polpe di bietola, residui amidacei, ecc. per un buon avvio e mantenimento nel tempo dei processi fermentativi a carico dei microrganismi. Ottimo l’accoppiamento a letame e liquami zootecnici. Per quanto riguarda l’uso in caldaie a griglia mobile, in pirogassificazione e in stufe in genere, si deve lasciare essiccare le piante in campo per ottenere un cippato invernale contenente in media il 45% di s.s. alla raccolta, paragonabile anche nel contenuto energetico ai valori del pioppo SFR anche se con un contenuto doppio di ceneri. Questo materiale va successivamente ulteriormente essiccato sino ad un tenore massimo in acqua (W%) del 30-33% nel caso venga destinato alle caldaie oppure del 18-22% nel caso la destinazione sia l’impianto di pirogassificazione».
Quanto costa e quanto rende
Facciamo due conti per verificare l’economicità della coltura?
«Il costo di produzione di una tonnellata standard di cippato di arundo con il 45% di s.s. e un contenuto finale massimo in ceneri sulla s.s. del 6% non supera i 14 €/t: questo valore rappresenta il miglior rapporto costo/beneficio sul mercato della biomassa da combustione/gassificazione. Sul versante biogas, grazie al prezioso lavoro di adattamento della coltura e dell’impiantistica condotto in cooperazione tra Seko SpA e i Vivai Franco Alasia, il trinciato di arundo “reso trincea” presenta un costo inferiore a 8 €/t insilata, quindi circa un terzo del costo del silomais. Infine c’è la destinazione bioetanolo, con il ciclo industriale c.d. “di seconda generazione” ideato dall’azienda Mossi & Ghisolfi (M&G) di Tortona: un processo dal rendimento tecnico eccezionale che permette di ottenere 1 kg di bioetanolo da circa 4 kg di s.s. anidra da arundo. L’azienda agricola deve stipulare per questa destinazione un contratto poliennale di coltivazione e di conferimento con l’azienda Chemtex Italia S.r.l. del Gruppo M&G, e può usu-fruire dell’assistenza tecnica dell’azienda di servizi Agrodinamica Srl di Voghera».