Farinetti: «Il vino verde di Fontanafredda»

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Andrea Farinetti
Realizzare la prima vendemmia di un cru di Barolo a emissioni zero al mondo: è questo l’obiettivo di Fontanafredda e Andrea Farinetti, che apre alle Nbt: «Pronto a sperimentarle in campo subito»

«Sono un produttore di vino verde. Cosa significa? Avere il coraggio e l’incoscienza di compiere scelte sostenibili, dove la forza della comunità e la fiducia negli altri rappresentano le fondamenta di un cambiamento non più procrastinabile per la salvaguardia del nostro pianeta». Non ha dubbi Andrea Farinetti, 30 anni, “figlio d’arte”, che racconta l’impegno di Fontanafredda (dal 1858 in Serralunga d’Alba -Cn): «produrre vino senza chimica impattante è possibile, serve una visione». Visione che a Fontanfredda significa indirizzare le scelte aziendali in un’ottica di economia circolare, dal riutilizzo delle acque grazie a un fitodepuratore che le immette filtrate in un lago all’interno dell’azienda, alla selezione di materiali naturali per il packaging, dalla bottiglia (85% riciclabile) al tappo (100% naturale), all’uso di energia pulita per il Villaggio. Ultima scommessa, due trattori motorizzati a biometano per raggiungere zero emissioni in vigna.

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Panoramica Fontanafredda
Quando hai capito cosa volevi fare da grande?

Ho studiato presso la scuola enologica di Alba. Studiavo e lavoravo. Mi è sempre piaciuto lavorare con le mani, sono una persona pratica. Un giorno mio padre mi portò su una terrazza di Borgogno, nell’azienda di famiglia dove ho mosso i primi passi nel settore, e mi fece assaggiare un Barolo del 1982 dicendomi: «il posto migliore dove assaggiare questo vino è proprio qui, dove nasce». In quel momento ho capito che cosa volevo fare da grande: produrre Barolo.

Quali sono oggi i record produttivi di Fontanafredda?

Fontanafredda conta 120ha, di cui 78 in un blocco unico, cosa più unica che rara; nelle Langhe l’appezzamento medio è intorno a 1,5ha. Coltiviamo tutti i vitigni autoctoni del territorio. Fontandafredda è una cantina artigiana con i numeri di una grande azienda. Produciamo circa 7 milioni di bottiglie annue suddivise tra le più importanti Doc e Docg del basso Piemonte. Prevalgono i rossi (45%), il resto è distribuito tra bianchi e bollicine. Riusciamo a fare grande qualità anche su volumi importanti grazie all’organizzazione delle attività in cantina, che in realtà lavora come fossero quattro cantine distinte, ciascuna da oltre 1,5 milioni di bottiglie. In una parte si fanno i bianchi, in un’altra le bolle, poi i rossi e i rossi pregiati. Il nostro fatturato nel 2019 è stato di 60mln di euro, nel 2020 abbiamo subito un calo del 15%. Esportiamo i nostri vini in 106 paesi del mondo, questa è la fortuna di produrre Barolo. L’export è circa il 47% del fatturato annuo.

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Metà della produzione arriva da uve rosse
Quali metodi di coltivazione, tecniche colturali e di difesa adottate?

Siamo un’azienda certificata biologica dal 2018, tra le più grandi in Italia. Abbiamo abolito da anni concimi di sintesi, diserbanti, trattamenti sistemici o insetticidi. Abbiamo mantenuto intatto un bosco in bassa Langa di circa 12ha e ristabilito un microclima ideale per la conservazione della biodiversità animale e oggi nel bosco trovano rifugio tutti i competitor naturali dei nostri patogeni. Per la difesa delle piante adottiamo anche la tecnica di confusione sessuale. Inoltre in determinate zone dei nostri vigneti utilizziamo la pratica del sovescio per ristabilire la fertilità del terreno. Concimiamo con compost da noi prodotto con materiali di scarto della vigna. Usiamo anche concimi naturali di allevamenti biologici del territorio, più qualche sementato di origine organica quando serve per integrare. Negli ultimi anni a causa di stress idrici ci siamo ritrovati a fare operazioni che c’eravamo dimenticati quali la ripuntatura del suolo e tecniche di potatura differenti secondo i cloni e l’esposizione delle piante.

Produrre vino completamente senza chimica è dunque possibile?

E’ possibile. Ma dipende di quale chimica parliamo. Esiste quella buona e quella cattiva. Il tema è trovare una chimica che non impatti l’ambiente. Dopo di che, è chiaro che l’evoluzione naturale dell’uva è l’aceto e non il vino e in questo c’è l’uomo che interviene per farlo diventare vino. Basta farlo con cura e in modo sostenibile.

A riguardo le biotecnologie possono essere un valido supporto? Oppure il bio è in contrapposizione con le Nbt?

Dobbiamo essere aperti alle sperimentazioni. Quanto alle Nbt se n’è già parlato troppo e non se n’è fatto ancora nulla. Io inizierei a piantare le prime viti fatte da cisgenesi o genome editing per capire qual è il risultato. Se riusciamo a ottenere una pianta senza modificarne il patrimonio genetico resistente alle malattie è chiaro che questa è la frontiera futura del biologico. Sono pronto a sperimentarle domattina. Studiamo, decidiamo e portiamole dal laboratorio al campo.

In vigna quali tecnologie digitali avete adottato?

Abbiamo il quaderno di campagna digitale, analizziamo la superficie blocco per blocco, vigna per vigna per monitorare l’efficacia della gestione. Per fare interventi mirati e creare una sostenibilità operativa è importante avere una tracciabilità chiara e smart. Abbiamo due trattori geolocalizzabili e quindi riusciamo a capire consumi e impatti. E ancora, gli atomizzatori satellitari con gps per una gestione di precisione dei trattamenti. La tecnologia in campo ci permette di ottimizzare i consumi e non avere sprechi. A breve avremo i primi due trattori a biometano. Una scommessa rivoluzionaria. Si tratta della prima sperimentazione al mondo in campo fatta in collaborazione con Fpt (Fiat Powertrain Technologies), che ha creato il motore, e New Holland.

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Trattore fpt
Quali le tecniche di vinificazione?

Meno si lavora l’uva meglio è. In chiave sostenibilità, abbiamo ridotto la quantità di anidrite solforosa nei nostri vini, eliminato i chiarificanti di origine animale e stiamo andando anche verso la certificazione vegan. Da dieci anni siamo impegnati in un bel progetto in collaborazione con l’università di Torino: selezioniamo in campo i nostri lieviti. Quindi riusciamo a fare delle fermentazioni indotte sul vino ma con lieviti autoctoni. E’ una via di mezzo tra una fermentazione spontanea e una fermentazione a livello industriale con la differenza che non utilizziamo lieviti industriali selezionati da altri vitigni o cultivar diverse, ma lavoriamo all’interno del nostro parco aziendale, ogni anno li selezioniamo, li riproduciamo in forma liquida e li utilizziamo.

Fontafredda sta puntando anche sull’energia green?

Abbiamo in cantiere un progetto finalizzato all’uso razionale dell’energia mediante il relamping delle strutture e l’utilizzo di sensori a intelligenza artificiale per ottimizzare il consumo energetico con l’obiettivo di abbatterlo del 30%. Nei prossimi due mesi partiremo con l’installazione di un impianto di cogenerazione con teleriscaldamento. Quindi utilizzeremo soltanto energia green che deriva da certificati bianchi. Questo ci permetterà di avere una fornitura di energia termica pari a circa il 95% a fronte di un fabbisogno annuo di energia elettrica stimato all’85%.

E’ possibile mantenere una competitività produttiva anche per aziende medio-piccole, che sono la maggioranza nel settore agroalimentare, investendo molto sulla sostenibilità?

Sono convinto di sì. Per farlo però servono regole e una comunicazione istituzionale che stimoli il mercato, che indirizzi il consumatore. Per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità servirà più forza lavoro e certamente bisognerà risolvere il nodo sul reddito degli agricoltori. Bisogna pagare bene le persone e avere rispetto del sociale. Faccio solo un esempio rimanendo qui e sul vino, nelle Langhe 1kg di uva è pagato in media 1,70-2 euro. Nei Colli tortonesi, confinanti con le Langhe, qualche anno fa le uve di Barbera venivano pagate 27cent di euro al kg. Tra i vari anelli della filiera è evidente che qualcosa non funziona.

Come giovane quale valore hai portato in azienda? E, avere un’eredità così importante per te cosa significa? Cosa prendi dagli insegnamenti ricevuti e come vedi Fontafredda nel futuro?

Sfrontataggine, spensieratezza e forse incoscienza, che è un grande valore che ti permette di lanciarti in nuove sfide. Ho avuto una fortuna pazzesca che mi devo far perdonare. Come? Cercando di portare fortuna agli altri, nel nostro caso a nuovi territori o varietà. Dagli agricoltori ho appreso il senso del dovere prima di quello del piacere, la parsimonia e la lentezza perché il vino è lentezza. Nel momento in cui pensi una cosa sai già che ci vorranno 10 anni per vederne i risultati. Per il futuro mi piacerebbe creare una grande comunità, partendo da chi lavora con me a Fontanafredda, in tutto 200 persone, e allargarla ai nostri clienti, fino ai consumatori finali. Questo è il vino: rispetto per la terra, ma soprattutto rispetto per il lavoro delle persone coinvolte in ogni anello della catena. Questo è il mio sogno.

Leggi le storie di tutti i giovani imprenditori agricoli del nostro Osservatorio Giovani Agricoltori

 

Farinetti: «Il vino verde di Fontanafredda» - Ultima modifica: 2021-05-24T11:27:49+02:00 da Laura Saggio

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