Carlo Gaudio: «Crea al lavoro per un’agricoltura più sostenibile e digitale»

Crea
Carlo Gaudio
Il presidente del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria annuncia i punti chiave del suo mandato: investimenti per formazione, divulgazione delle conoscenze e riduzione dell’impatto ambientale

«Gli investimenti per la ricerca in agricoltura? Dovrebbero essere di più e più concentrati per evitare di disperdere risorse. Il Crea è all’avanguardia nel settore fitosanitario e nella genetica, ma dobbiamo lavorare per la digitalizzazione e la diffusione delle conoscenze. Difatti stiamo pensando di realizzare un campus alle porte di Roma per la formazione dei ricercatori e scuole per creare una classe di tecnici specializzati nei settori più strategici dell’agricoltura italiana. E poi avanti con le biotecnologie, ma sempre rispettando le indicazioni governative. Il Pnrr? Occasione da non perdere». Questi i pilastri del manifesto programmatico per la guida del Crea che il neo presidente Carlo Gaudio illustra a Terra e Vita.

Quali saranno i filoni di ricerca chiave del Crea sotto la sua gestione?

«Resilienza, sostenibilità, rispetto dell’ambiente e biodiversità, garanzia della sicurezza alimentare. Cercheremo di accrescere la formazione, le conoscenze, l’innovazione e di attuare la digitalizzazione delle zone rurali».

Quali sono oggi i settori dove il Crea è più forte e quelli che vorrebbe far crescere?

Siamo all’avanguardia a livello nazionale e internazionale nel settore fitosanitario e genetico. Il Crea partecipa al sequenziamento del genoma delle principali specie di interesse agrario, come frumento duro, olivo, vite. Invece siamo un po’ indietro nella digitalizzazione e diffusione dell’informazione scientifica derivante dall’attività di ricerca, per una condivisione prima di tutto all’interno dell’ente, poi tra i diversi enti di ricerca, quindi con le amministrazioni pubbliche per far giungere ai cittadini i risultati con ricadute applicative dirette. Su questo punto alcuni dei nostri centri di ricerca, come Agricoltura e Ambiente, Foreste e Legno, Zootecnia e Acquacoltura, sono particolarmente impegnati.

La ricerca viene spesso vista come qualcosa di astratto. Può fare qualche esempio di vostri studi che hanno avuto un impatto positivo sul settore primario?

Ne elenco cinque tra i più significativi, ma sono molti di più. Cimice asiatica: mezzo miliardo di danni al settore nell’ultimo biennio e ripetuti interventi pubblici a sostegno dei produttori di pere. Il Crea ha trovato la soluzione per la lotta all’insetto. Pac. Si tratta di oltre dieci miliardi di euro annui. Il supporto operativo al Mipaaf e alle Regioni lo fornisce il Crea. Vino: il Crea ha selezionato varietà resistenti a importanti patogeni per i principali vitigni italiani, Glera compreso. E quella del Prosecco è una filiera che vale circa cinque miliardi di euro l’anno. Xylella.

I 300 milioni di euro stanziati dallo Stato sono piccola cosa rispetto al danno economico causato dalla sputacchina nel principale areale produttivo italiano dell’olio extravergine d’oliva. Danni che si sommano al minor gettito fiscale derivante dalla pressoché totale chiusura della filiera olivicola in vaste aree della Puglia. Il Crea sta sviluppando le varietà resistenti alla Xylella e identificando le pratiche agronomiche per la ripresa. Irrigazione e gestione dell’acqua. Il Crea è il supporto operativo del Mipaaf nel Piano irriguo nazionale e nella progettualità delle azioni per il Recovery Fund.

Qual è la posizione del Crea sulle Tea/Nbt? C’è la forte contrarietà degli ambientalisti e di gran parte dell’opinione pubblica, ma l’agricoltura “sostenibile” ormai non può più fare a meno della nuova genetica.

La ricerca non deve fermarsi, ma, per quanto riguarda la sua attuazione e la sperimentazione in campo attendiamo un chiarimento normativo nazionale e internazionale. La mia posizione quale presidente del Crea non può distinguersi dagli orientamenti che il Mipaaf vorrà impartire al settore. Il ministero ha finanziato al Crea l’importante progetto di ricerca biotech che sviluppa questo settore, col coordinamento del centro di ricerca genomica e bioinformatica. L’evoluzione dell’ingegneria genetica si è sviluppata verso tecniche innovative e pulite e l’assegnazione del premio Nobel 2020 per la Chimica a Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier per la scoperta della tecnologia Crispr/Cas per indurre mutazioni in posizioni predeterminate del genoma, dimostra l’importanza e l’enorme impatto che le nuove tecnologie possono avere in campo microbiologico, biologico, medico e agrario.

Questo strumento ha contribuito all’emergere di altre scoperte nella ricerca di base: in medicina, sono in corso prove cliniche di nuove terapie contro il cancro e il sogno di poter curare anche le malattie ereditarie sta per avverarsi. Scienziati e ricercatori nell’ambito delle piante sono stati già in grado di sviluppare colture che resistono alle muffe, ai parassiti e alla siccità. Le “forbici genetiche” possono guidare le scienze della vita verso una nuova epoca e, per molti aspetti, potranno portare grandi benefici all’umanità.

creaLo Stato italiano investe abbastanza nella ricerca in agricoltura?

Mediamente nel nostro Paese i finanziamenti alla ricerca scientifica rappresentano l’1,4% del Pil (Fonte: La Stampa), e certamente la voce destinata all’agricoltura non è tra le prioritarie. L’Italia è al ventisettesimo posto nel mondo per investimenti in ricerca e all’ottavo per risultati conseguiti. I fondi per la ricerca non sono certo sufficienti, e anche il Crea viene purtroppo da un lungo periodo nel quale sono stati effettuati pochi investimenti strutturali. Con questo intendo potenziamento delle infrastrutture quali ad esempio le piattaforme tecnologiche, strumentali, i laboratori tematici, i campi sperimentali di lunga durata, la conservazione delle nostre collezioni di germoplasma ecc., che in passato hanno determinato l’indiscutibile primato del Crea a livello nazionale e la sua grande potenzialità a livello internazionale.

Sarebbe fondamentale istituire una cabina di regia rispetto alle attività e ai fondi che lo Stato distribuisce in campo agroalimentare. Molti gli enti, oltre al Crea, che si occupano di ricerca e sperimentazione in agricoltura, fatto questo che porta a un inevitabile frazionamento non solo dei fondi, ma anche della ricerca, al sovrapporsi di tematiche che spesso non producono sinergia, bensì duplicati. E il Mipaaf ha comunque già dimostrato di voler invertire la tendenza, sia con la revisione del Pnrr in senso ancora più favorevole alla ricerca, sia con gli stanziamenti aggiuntivi che il Crea ha ricevuto nell’ultima legge di stabilità.

Quali opportunità possono aprirsi per la ricerca con il Pnrr?

Oltre ai progetti per aumentare la competitività del Paese attraverso riforme sostanziali di importanti pezzi del nostro apparato – dalla burocrazia, alla giustizia, alla maggiore concorrenza – il Pnrr stanzia risorse importanti per il settore agricolo. Abbiamo 3,88 miliardi di euro per progetti direttamente in capo all’amministrazione agricola, finalizzati all’agricoltura sostenibile, alla tutela del territorio e delle risorse idriche, per i contratti di filiera e di distretto e per favorire innovazioni nella meccanizzazione e negli impianti di molitura. A questi vanno sommati i soldi allocati per la ricerca e il potenziamento del sistema dell’istruzione.

Ad esempio, i fondi per favorire la sottoscrizione dei contratti di filiera serviranno per ridurre l’utilizzo di fitofarmaci e fertilizzanti di sintesi, potenziare l’agricoltura biologica e favorire la biodiversità, migliorare il benessere degli animali, garantire il contributo agli obiettivi climatico-ambientali, distribuire il valore più a monte, sviluppare la produzione di energia rinnovabile e l’efficienza energetica, garantire la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare, ridurre le perdite e gli sprechi alimentari. Tutti obiettivi per i quali la ricerca del Crea ha già prodotto importanti risultati, così come nella gestione intelligente della risorsa idrica. Le opportunità, dunque, sono straordinarie e dobbiamo sfruttarle con decisione e velocità.

La ristrutturazione delle sedi è finita o ha qualche altro progetto in mente? Se si quale e per quale scopo?

Stiamo dismettendo sedi vuote o inutilizzate e razionalizzando le spese di gestione. A tal fine stiamo lasciando il palazzo della sede centrale e quello della sede del Centro di ricerca di Politica e Bioeconomia – molto onerose e causa di tutte le disavventure giudiziarie in cui sono stati coinvolti i precedenti vertici dell’ente – trasferendo il personale in altre sedi già di proprietà del Crea.

Uno dei problemi della ricerca è farla uscire dai laboratori, dalle Università e dai campi prova per farla arrivare agli agricoltori. Come pensa di risolverlo?

Si, ne siamo consapevoli e per questo stiamo progettando la realizzazione di un Campus internazionale della ricerca per la formazione di ricercatori e tecnici provenienti da aree svantaggiate del mondo, in collaborazione con organizzazioni internazionali quali la Fao e l’Ifad. Vicino Roma il Crea dispone 1.200 ettari per coltivazioni sperimentali. Su di essi insistono quattro dei suoi centri di ricerca. Il campus andrebbe organizzato in modo da creare collaborazioni permanenti, a partire dai Paesi del bacino Mediterraneo, per lo sviluppo di progettualità comuni. Inoltre, stiamo lavorando all’istituzione delle Scuole professionali del Crea per la formazione teorico-pratica presso filiere complete, interamente gestite da centri di ricerca Crea.

Ad esempio: una scuola per la filiera della produzione casearia, una per quella di prodotti vinicoli e una per i prodotti olivicoli, con sede al Nord, al Centro e al Sud. Le scuole del Crea potrebbero formare - nei propri campi e nei propri laboratori – tecnici altamente qualificati e specializzati, incentivando così l’ingresso nel settore di giovani competenti, favorendo il ricambio generazionale, con riflessi positivi per il turismo rurale.

Ricerca pubblica e aziende private: com’è il rapporto? Come funziona la partita dei brevetti?

Di recente sono stati rinnovati o sottoscritti numerosi protocolli d’intesa con istituzioni private proprio per incentivare il trasferimento dell’innovazione nelle filiere agroalimentari. La ricerca del Crea è al servizio del nostro Paese soprattutto a supporto del made in Italy. Tra le industrie che devono diventare sostenibili e circolari, quella agroalimentare rappresenta la seconda manifattura italiana in termini di fatturato (circa 140 miliardi di euro nel 2018) e di export. Occorre quindi agire con misure adeguate per aumentarne la sostenibilità, integrandosi con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

In linea con la Strategia Farm to Fork deve essere promossa ogni iniziativa per accorciare le filiere, ridurre l’impatto ambientale del sistema agroalimentare in termini di emissioni di gas a effetto serra, consumo di acqua e suolo, inquinamento e perdita di biodiversità agricola e non agricola. Gioverebbe a questi scopi la modifica dei modelli di consumo verso un’alimentazione varia ed equilibrata, in sintonia con le raccomandazioni che il Crea ha recentemente promulgato con la pubblicazione delle Linee guida per una sana alimentazione, e attenta alla riduzione di perdite e di sprechi.

Sotto la sua gestione ci sarà una regolarizzazione dei ricercatori? Assunzioni? Se sì in quali settori?

Nel 2019-2020 oltre 500 dipendenti sono stati stabilizzati e sono in corso i bandi per le progressioni di carriera. Inoltre, stiamo attendendo dal Parlamento la norma attuativa per la stabilizzazione degli operai agricoli, per i quali il Crea ha già ottenuto in Finanziaria l’aumento del finanziamento ordinario. Le nuove assunzioni saranno attuate secondo il normale turnover del personale.

È possibile “liberare” l’agricoltura dalla plastica?

L’agricoltura utilizza moltissima plastica, ad esempio nelle pacciamature. Attualmente i teli biodegradabili rappresentano appena il 5% del totale per un peso complessivo di quattromila tonnellate. Il crescente uso della plastica di origine vegetale ridurrebbe la contaminazione dei terreni e delle acque senza pesare sulle discariche. Il lavoro da intraprendere è enorme e dovrebbe prevede non solo attività di tipo scientifico per individuare materiali e tecniche idonee a una gestione sostenibile dell’agricoltura, ma anche di tipo culturale ed educativo dei comportamenti che vanno dagli addetti all’agricoltura fino al consumatore. Il Crea si propone come promotore di una maggiore naturalità dell’agricoltura.

Carlo Gaudio: «Crea al lavoro per un’agricoltura più sostenibile e digitale» - Ultima modifica: 2021-05-07T08:36:54+02:00 da Simone Martarello

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