Impossibilità di spingere le rese oltre una certa soglia a causa della tipologia di terreno e redditività ridotta all’osso da un mercato che paga pochissimo, soprattutto per mais e latte. Sono problematiche piuttosto comuni per l’agricoltura italiana, ma sentite soprattutto in Friuli Venezia Giulia, dove i terreni limosi non consentono di avere rese super, le aziende sono quasi tutte piccole o medio piccole e, oltre all’agricoltura, praticano l’allevamento.
Una soluzione potrebbe essere la conversione alle pratiche di agricoltura conservativa e di precisione: strip till, minima lavorazione e semina su sodo, grazie alle quali diminuiscono sensibilmente i passaggi in campo e di conseguenza le ore lavorate e i costi, senza intaccare il raccolto. A dirlo non siamo noi, ma gli agricoltori che da anni gestiscono i loro terreni in questo modo.
Un’esperienza decennale
Come i fratelli Mirco e Vittorino Zecchini, che ormai da dieci anni hanno completamente convertito i loro 100 ettari situati nei comuni di Spilimbergo e San Giorgio della Richinvelda (Pn) all’agricoltura conservativa. «Per il mais la situazione resta comunque critica – avverte – perché i prezzi sono troppo bassi e in questa zona è impossibile andare oltre i 140/150 quintali per ettaro, tant’è che sono passato da una quasi monocoltura a farne solo 30 ettari. Ma in generale la semina su sodo e lo strip tillage danno ottimi risultati economici, con costi ridotti di circa la metà rispetto alle tecniche tradizionali».
Da quest’anno i Zecchini hanno tarato la loro attività sul bando della Regione che finanzia la conservativa: hanno iniziato a piantare orzo, soia mais e cover crop (rafano) in rotazione, più una parte a prato, sempre finanziata dal Psr, il cui raccolto va a un’azienda zootecnica nelle vicinanze. Il mais è coltivato con la tecnica dello strip till, orzo e frumento con la minima lavorazione (tramite un erpice Lemken Karat) e la semina normale, mentre per la soia in secondo raccolto pratica l’inoculazione su sodo (con una Kuhn Maxima 2).
«Ma la conservativa è conveniente anche senza i finanziamenti regionali – sottolinea Mirco – i costi per ettaro si riducono della metà tra risparmio di carburante e di ore lavorate, poi i nostri sono terreni limosi, quindi è più facile praticare questo tipo di lavorazioni. Nonostante ciò i miei colleghi faticano a capirlo e solo oggi, pian piano, si stanno aprendo a queste tecniche. È un problema culturale, il cambiamento li spaventa, ma la situazione oggi è così critica che qualcuno si sta convincendo, altrimenti saranno costretti a chiudere».
Zecchini lavora anche un centinaio di ettari in contoterzi, soprattutto per amici e con loro ha fatto opera di persuasione, convincendoli a mandare in pensione l’aratro.
Un’azienda completa
Soddisfacente pure la redditività dell’impianto a biogas (con una potenza di 250 KW, il primo a essere costruito in regione nel 2007), che Zecchini alimenta con triticale e frumento ma anche con i liquami dei 4.000 suini di sua proprietà e con la pollina di un vicino allevamento: «In questo modo possiamo usare meno insilati – spiega – poi anche con i suini abbiamo fatto una scelta precisa, abbandonando la varietà impiegata per produrre il prosciutto crudo di San Daniele, per passare alla più redditizia razza danese Landrace che garantisce alta resa al macello, ottima sia per la produzione di suino pesante che per la produzione di carne magra da destinare al consumo diretto e buona prolificità».
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