Più performanti di circa il 20%, di dimensioni ridotte rispetto agli impianti tradizionali e più facili da gestire. Ma anche in grado di schiudere nuove frontiere per la produzione di bioenergie, con la possibilità di utilizzare biomasse a pH acido come siero di latte e scotta, poco congeniali ai digestori convenzionali. Queste le principali caratteristiche degli impianti a biogas bi-stadio per la produzione di idro e biometano. La prima struttura di questo tipo costruita in Europa è stata inaugurata da poco a Soliera, in provincia di Modena.
Grazie ai tempi ridotti di digestione della biomassa
l’impianto bi-stadio necessita di cubature inferiori
e costi di realizzazione più contenuti
rispetto agli impianti tradizionali
Realizzato dalla start up Biogas Italia Srl, licenziataria e sviluppatrice del brevetto del procedimento di digestione bi-stadio, depositato da Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) e dal Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria), l’impianto emiliano è frutto di una vincente sinergia tra pubblico e privato. Il programma di sviluppo prevede ora di realizzare tra i cinque e i dieci nuovi impianti l’anno e contemporaneamente riconvertire quelli esistenti.
Tecnologia bi-stadio, meno costi e maggiore resa
Il processo che si verifica nell’impianto bi-stadio separa le fasi biologiche della digestione anaerobica e permette una più veloce degradazione della biomassa. All’interno dei digestori si osserva un aumento della produzione di idrogeno nel primo stadio del processo e della produzione di biometano alla fine del ciclo. Grazie ai tempi ridotti di digestione della biomassa, l’impianto bi-stadio necessita di cubature inferiori e costi di realizzazione più contenuti rispetto agli impianti tradizionali. Infine, biomasse a pH acido, come siero di latte, scotta, sansa di olive e pastazzo di agrumi, possono essere usate senza i problemi di stabilità biologica di solito riscontrati nei sistemi tradizionali, facendole rientrare in un ciclo virtuoso di riutilizzo.
«Più nel dettaglio si ha un primo stadio durante il quale il substrato organico viene idrolizzato e in cui contemporaneamente avviene la fase acida che rilascia idrogeno – spiega il responsabile commerciale e di ricerca e sviluppo di Biogas Italia Claudio Giurin – e un secondo stadio dove si produce il metano».
Più metano nel prodotto finito
La principale innovazione sta proprio qui: l’idrogeno biatomico prodotto (H2) viene fatto ricircolare nel secondo fermentatore e si miscela con il biogas. Questo permette di attivare una reazione che fa legare l’idrogeno all’anidride carbonica (CO2) del biogas producendo metano (CH4) più ossigeno (O2). In sostanza si va ad arricchire il biogas di metano, facilitando il successivo processo di upgrading. Avendo più metano si deve estrarre meno anidride carbonica. Il miglioramento delle prestazioni si può stimare tra il 15 e il 20%, anche se in laboratorio si è arrivati al 25-30%. Oppure, l’idrogeno può essere utilizzato nelle celle a combustibile o venduto come gas tecnico.
Negli impianti di nuova generazione
si possono utilizzare anche biomasse
con pH acido
«Altra caratteristica peculiare di questo impianto – sottolinea Giurin – è la possibilità di valorizzare tutte le biomasse con pH acido, che invece negli impianti tradizionali sono impiegate solo in minima parte perché creano problemi nella digestione aerobica. Nell’impianto bi-stadio si possono utilizzare senza problemi». Questo è importante perché il nuovo decreto sul biometano dovrebbe prevedere un utilizzo di almeno il 70% di sottoprodotti per la produzione di bioenergia.
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Un potenziale da sviluppare
Oltre ad avere fermentatori più piccoli, costare meno e produrre di più, i nuovi impianti permettono un monitoraggio e controllo dei parametri di processo sul primo reattore e un intervento tempestivo in caso di problemi. A questo si aggiunge la produzione continua di metano nel secondo reattore. Il controllo e il mantenimento delle condizioni termiche e operative è facilitato rispetto alle strutture realizzate finora. Questo permette di incrementare la stabilità del processo e un risparmio sui costi energetici. Il sistema è flessibile, capace di adattarsi al tipo di biomasse introdotte. I tempi di ripresa produttiva in caso di shock biologico sono ridotti. Unico inconveniente del nuovo sistema la fase di avviamento, che necessita di 80-90 giorni, contro i 20-60 degli impianti convenzionali.
A parità di energia prodotta,
la tecnologia bi-stadio
necessita del 10/15% in meno
di materia prima
Come noto, i circa 1.400 impianti a biogas oggi attivi in Italia hanno il problema dell’approvvigionamento di materia prima: la nuova tecnologia bi-stadio può aiutare a minimizzare questo aspetto. «Lo stadio successivo sarà l’utilizzo del trinciato di mais – afferma Giurin – utilizzando una minor quantità di materia prima nell’ordine del 10-15% rispetto agli impianti tradizionali per produrre la stessa quantità di energia. Entro due anni – conclude Giurin – vogliamo completare la sperimentazione che prevede la riconversione degli impianti esistenti».
L’impianto di Soliera ha una potenza di 100 KW, in quanto serve da test, ma per essere economicamente conveniente la dimensione minima è di 300 KW o 200 m3 di metano equivalente.
Pubblico e privato, binomio vincente
Oltre che per l’elevato contenuto tecnologico la realizzazione della struttura di Soliera si distingue anche per il circuito virtuoso innescato tra i soggetti pubblici (Enea e Crea) e privati coinvolti. La start-up Biogas Italia ha beneficiato di un finanziamento di Invitalia Spa e l’azienda agricola Lugli ha ceduto in comodato d’uso il terreno, fornisce la materia prima per l’alimentazione dell’impianto e partecipa alla gestione. Un concetto sottolineato anche da Vito Pignatelli, responsabile del laboratorio Biomasse e Biotecnologie per l’Energia di Enea, che ha definito la realizzazione dell’impianto: «Un ottimo esempio dei risultati che si possono ottenere dalla collaborazione tra ricerca e impresa».
Innovazione e sostenibilità
«Ancora una volta – dichiara il presidente del Cib Piero Gattoni – il settore del biogas/biometano si dimostra in grado di trainare l’innovazione tecnologica, stimolando la ricerca di nuove soluzioni e favorendo l’instaurarsi di collaborazioni proficue tra soggetti pubblici e privati. Biogas e biometano si confermano risorse fondamentali nel bilanciamento delle rinnovabili all’interno di una strategia di progressiva decarbonizzazione del sistema energetico nazionale. Il nostro biogas/biometano è italiano al 100% perché nasce dai sottoprodotti dell’agricoltura e della zootecnia italiana. È programmabile, flessibile e capace di valorizzare il settore primario. Col giusto supporto del legislatore – conclude Gattoni – il comparto potrà offrire un contributo importante allo sviluppo del Paese».
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